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Estratti dal libro

Dagli autori ai lettori

Il soggetto documentaristico

Il dossier documentaristico

Pitching

È reale
È REALE Dialogo a due voci degli autori
"E ancora mi innamora
e mi fa sospirare così
adesso e per quando
tornerà l′incanto..."
Vinicio Capossela, "Ovunque proteggi"

Balsamo - Ora tocca a noi dire cosa ne pensiamo del documentario.
Pannone - Perché fino ad adesso cosa abbiamo fatto?!
B. - Eppure sento il bisogno di un finale... Anche se aperto...
P. - ...una sorta non dico di decalogo, ma un pentalogo sì...
Cinque punti:
1) Il documentario è percezione e racconto della realtà, che l′autore interpreta in modo evidente o dissimulato...
Balsamo-
2) ...che si può declinare in tante forme. Decidendo di avvicinare il reale così come lo percepiamo, muovendo la nostra interpretazione di autori... Misurando l′approccio alla storia...
P. -
3) ... senza tradirla, la realtà. Il documentario è un amante fedele...
B. -
4) ...ne ha un grande rispetto, della realtà: dei suoi paesaggi e dell′umanità che li abita. Infatti, si muove sempre all′interno di una dimensione etica... E fa di tutto per restarci...
P. -
5) Intendiamoci, tenersi ancorati all′etica non limita l′esplorazione. I tragitti su vie sterrate, bianche, sconosciute. Perché il documentario (quello che noi insegniamo) ha un vantaggio che ce lo fa amare: imbocca percorsi in estrema libertà, si allontana dagli stereotipi, rifugge le visioni manichee, le rigidità ideologiche...
B. - E′ un racconto di cui si avverte estrema necessità, oggigiorno: per leggere un mondo complesso, ambiguo, contraddittorio, lacerato da un costante "con me o contro di me"... Chi invece conserva fino in fondo uno sguardo senza tracce di giudizi e pregiudizi, compie un esercizio acrobatico, difficile, ma di notevole soddisfazione:
P. - Attiva la testa. Pensare con autonomia: noi e gli altri... Quindi il documentarista...
B. - ...è un libero viaggiatore: non riesco a pensare a una metafora più stringente. In fondo il viaggiatore è uno che parte con un bagaglio, qualche idea, una manciata di informazioni e una meta da raggiungere, però non sa mai chi incontrerà, e cosa incontrerà durante il viaggio; o se addirittura abbandonerà la sua meta per un′altra. Quale sarà lo status più prolifico: lo spostamento o la permanenza?
P. - Mi piace l′idea del viaggiatore, un po′ alla Bruce Chatwin. Che lungo il percorso intrapreso, annota i suoi pensieri, elaborandoli poi in una direzione fortemente soggettiva... Oppure un antropologo creativo con doti da rabdomante. Per me il documentarista autentico è anche una persona che sa mettersi in discussione. Forse per questo ha tempi diversi (e non pochi problemi) rispetto a quelli che impone l′industria dell′audiovisivo in genere.
B. - Soggettività... Qualsiasi posizione, anche quella più ′frigida′, più distaccata e con minore ingerenza, comunque è una posizione soggettiva. Un′interpretazione. Una chiave tirata fuori dalla propria borsa... L′oggettività non esiste.
P. - ...Fare l′intervista in un certo modo, posizionare la macchina da presa, scegliere parte del girato e scartarne altro, sono cose che contribuiscono a definire un punto di vista. L′oggettività s′infrange inevitabilmente su scelte che partono sempre dal sé.
B. - D′altro canto, anche la scienza già da un po′ ha rinunciato alla sua obiettività, considerando il ricercatore un partecipante. L′esperimento e il suo risultato non possono prescindere da chi li sta conducendo.
P. - Nella finzione cinematografica e televisiva il discorso è più facile: il patto di credibilità e fiducia con lo spettatore è meno stringente, e mette il regista nella condizione del demiurgo. Si tratta di un accordo regista-fruitore diverso da quello che c′è nel documentario, perché si muove nella direzione del "facciamo finta che questo sia vero". Sta al regista poi essere etico oltre che convincente.
B. -Il documentarista, invece, con la questione etica ci si confronta fin dall′inizio, almeno per quanto riguarda un certo tipo di documentario. Ma etica non significa certo negare la soggettività.
P. - Facciamo un esempio: Errol Morris. Un vero e proprio mago incantatore, ci mostra quanto sia labile questa differenza. "E′ reale?" chiede, attraverso un cartello, in uno dei suoi "First person" . Così come Abbas Kiarostami mette in scena il suo mondo con un′etica documentaria che ci riporta a Roberto Rossellini di "Paisà" e dunque pone in crisi lo schema finzione/documentario. L′esempio più eclatante del suo corto circuito artistico rimane ancora oggi "Close-up" .
B. -Un vero e proprio film-manifesto... Lo sguardo autoriale e soggettivo, nel momento in cui è dichiarato, consente allo spettatore di riconoscere il punto di vista e di farsene uno suo. Arrivo a dire che è più onesto e meno manipolatorio di un documentario con un linguaggio tradizionale, dove si vuol far passare per neutra, scientifica, un′oggettività che non esiste.
P. - La questione è più di ordine linguistico che di contenuto. E′ altrettanto vero, però, che oggi assistiamo a incontri molto riusciti tra finzione e documentario, cosa su cui, a mio giudizio, ancora non si riflette abbastanza, almeno in Italia. Considero molto più documentarista Matteo Garrone con il suo straordinario "Gomorra" , di tanti paladini della cosiddetta non-fiction televisiva, che fanno credere di essere obiettivi. E la modernità di Garrone è tutta in una macchina da presa che lo spettatore sente perché è sempre tra le cose, partecipa, vibra, si fa stile.
B.- ...Che, secondo me, rimanda anche al bisogno, da parte di alcuni di noi, di dare un′onesta fermezza identitaria ai propri lavori; a volte spostandosi anche dentro l′inquadratura. Il discorso è questo: "Sono io in prima persona, che provo ad assicurare il baricentro della storia, a dichiarare senza esitazioni la mia interpretazione, il mio intervento. L′onestà è nel fatto che sono io a spendermi. Sia fisicamente che attraverso il linguaggio". Ma se lo spettatore scopre che il documentarista ha rivolto l′obiettivo verso se stesso solo per un impeto di narcisismo e di volontà autoreferenziale, non può che criticarlo. Se vede che l′entrare in campo è funzionale alla storia e rafforza la sua limpidezza, non può che condividerne la scelta.
P. - Oddio, quello che stiamo dicendo ci porta lontano dalle attuali linee editoriali del ′sistema audiovisivo′... Facciamo respirare le storie, affrontiamo senza paura l′ambiguità del reale, entriamo nell′ottica che un racconto non sia tutto bianco o tutto nero, privilegiamo lo sguardo soggettivo. Parliamo di complessità e -perché no? - di corto circuiti politici, ideali, personali... Tutto ciò, bisogna ammetterlo, non trova riscontri nel mainstream audiovisivo di oggi. Sia un documentario filogovernativo sia uno ′d′opposizione′, alla Michael Moore per intenderci, sono perfettamente funzionali a un pubblico cui viene chiesto di aderire, non di valutare, né di pensare. E questo all′interno di una finalità e di una modalità economica definite, che tendono ad annullare le sfumature, le incertezze, le ombre. Salvo che poi lo spettatore le ritrova tutte insieme nella realtà attuale, e sempre più marcanti. In Italia è talmente forte questa ideologia di fondo, che spesso e volentieri si confonde lo spirito laico con la neutralità. Sarebbe bene che da noi più persone si prendessero la briga di andarsi a cercare i film di Avi Mograbi, di Michael Glawogger, di Lech Kovalski, di Gianfranco Rosi. E questo vale soprattutto per i distributori e i produttori...
B. - Scrive Pier Paolo Pasolini: "(...) La passione che aveva preso [in me] la forma di un grande amore per la letteratura e la vita, gradualmente si è spogliata dell′amore per la letteratura ed è tornata ciò che realmente era: una passione per la vita, per la realtà, la realtà fisica, oggettuale, esistenziale intorno a me. Questo è il mio primo e unico grande amore e il cinema in un certo modo mi ha costretto a tornare a esso e a esprimere soltanto. Come è accaduto? Studiando il cinema come sistema di segni, sono arrivato alla conclusione che è un linguaggio non convenzionale e non simbolico come la lingua scritta o parlata che esprime la realtà non attraverso simboli ma tramite la realtà stessa" . E, in un′altra opera: ""Il cinema non evoca la realtà, come la lingua letteraria; non copia la realtà, come la pittura; non mima la realtà, come il teatro. Il cinema RIPRODUCE la realtà: immagine e suono! Riproducendo la realtà, cosa fa il cinema? Esprime la realtà con la realtà" .
Questo anche per dire: se il distinguo etico (ma senza intenti moralistici) tra finzione e documentario ha ragione di esistere, non ha invece statuto quando autorizza steccati linguistici e classificazioni calcistiche: serie A=cinema di fiction, serie B=documentario. Il cinema è uno, senza ghetti, senza parenti minorati, bensì fatto di continui e proficui sconfinamenti. Poi ci sono i film belli e quelli brutti...
P. - Il problema è che il documentario non trova spazi adeguati, sebbene oggi provochi molto interesse. Ora che non ci sono le certezze ideologiche di un tempo, i più giovani avvertono che lì ci si può avvicinare alla autenticità delle cose, aiutati anche dal basso costo del digitale, dunque senza aspettare troppo. E, cosa più importante, hanno anche capito, loro che sono cresciuti nel brodo della presunta oggettività televisiva, che il documentario prova ad approssimarsi alla realtà in modo comunque e sempre soggettivo: nel tentativo, prometeico, di toccare la verità delle cose per afferrare qualche utile brandello di vita.
B. - Si ritorna all′istanza etica... Che è garantita quando si assicura l′imprevedibilità del documentario. L′onestà intellettuale del documentarista è nel sapere che, quando affronta una storia, questa può anche diventare molto diversa da quella di partenza. Sbaragliare la sua interpretazione. Portarlo su tutt′altri lidi...
P. - Chi ha paura di questa libertà, insita nella pratica del documentario? Chi ha paura del suo essere di per sé scabroso, specie quando si palesa con uno sguardo d′autore? Si teme perché qui mancano i filtri, dunque i controlli, della scrittura, dell′organizzazione produttiva nell′accezione classica, degli attori?... Il documentario finisce col mettere a nudo le cose, a volte con una semplicità e con un′immediatezza disarmanti. Inoltre, non essendo funzionale a un sistema economico-produttivo che è sempre alla disperata ricerca di più zeri in fondo alla cifra, incontra non poca diffidenza.
B. - E lo spettatore? In particolare il pubblico italiano ha una difficoltà di approccio - penso al documentario di creazione - soprattutto per colpa di una televisione a senso unico. Il problema è che non sa concedersi a una fruizione più libera. "Ma questo è un film o un documentario?", si chiede continuamente.
P. - Bisognerebbe tornare all′agire dal basso di un Danilo Dolci o di un Don Milani... Lo spettatore di oggi è ′addormentato′, perché è abituato in gran parte a consumare ciò che gli viene imposto attraverso messaggi di contenuto e linguistici codificati. Di fronte a tanto disastro, come si può pretendere che il pubblico medio apprezzi il prodotto artigianale? Ecco, noi, ed è qui il nocciolo di "L′officina del documentario", crediamo nella parola laboratorio, ma sappiamo bene che la società in cui viviamo non accetta volentieri il pezzo unico. Insomma, da noi un film di Nicholas Philibert è difficile che ′passi′ in tv nelle ore di punta. Pensandoci bene, è come se ci portassimo dietro mai sopiti retaggi di fascismo. Negli anni Cinquanta, Vittorio De Seta ebbe dei problemi con i suoi cortometraggi senza voce off e colonna sonora roboante. E oggi in fondo le cose non sono molto cambiate. La verità è che lo spettatore è visto come suddito piuttosto che cittadino; e va ′educato′ permettendogli prima di conoscere realmente il linguaggio delle immagini e, in secondo luogo, offrendogli un′offerta televisiva diversificata.
B. -′Educazione′... senza fraintendimenti autoritari! Qui si parla di riportare lo spettatore a pensare, abituarlo nuovamente a riflettere. Se offriamo allo spettatore più chiavi di lettura, più elementi, tutto ciò può condurlo a essere più critico.
E′ quello che vogliamo fortemente quando insegniamo il fare documentario ai nostri studenti. Spingere ad analizzare e, in generale, a usare la testa, li porta a volte a contrapporsi alle nostre posizioni: un conflitto drammaturgico e filosofico funzionale e assai formativo, a meno che una delle due parti non si arrocchi in una posizione preconcetta, senza motivare le proprie scelte. E′ accaduto anche questo e abbiamo provato a superarlo...
P. - Superare... Ce ne sono di cose da superare. Ad esempio, che dire dell′Università italiana, per un verso ancora chiusa su posizioni ormai vecchie di scollamento tra teoria e pratica?
Fantasmi crociani... E il mondo del documentario italiano, o almeno una parte di esso? Non dovrebbe uscire dalla sua nicchia, quasi una prigione storica, facendo i conti con il popolare? Beninteso, ′aprire le finestre′ non significa un sommesso abbassarsi al gusto corrente, ma sfidare lo spettatore medio sui suoi stessi punti di riferimento, a cominciare proprio dalla televisione.
B. - Che dici se ci proviamo con il prossimo laboratorio?
P. - Certo... Ora basta, però: sembriamo Bouvard e Péchuchet!
 
 
© 2009 - Mario Balsamo - c.f. BLSMRA62C12E472S powered by Daniele Sorrentino
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